Quando arrivi, chiama

2022

Per sei mesi, siamo andati in giro per la città a fare domande alla gente.
“Qual è il viaggio che ricordi di più?”, “Cos’è per te il viaggio?”, oppure “Hai mai vomitato durante un viaggio”?
C’è chi ha risposto con due parole, chi ha fatto finta di parlare al telefono, chi ci ha bloccato lì per mezz’ora senza lasciarci più andare.
Le storie andavano dalla più banale a quella più incredibile e col passare dei mesi il tema del viaggio si è espanso: passava da una vacanza in America, alla bambina che lavora al banco dei fiori e sogna il mare, all’autista Uber che attraversa la città ogni giorno.
Quando ci è sembrata abbastanza, abbiamo preso tutta quella mole di risposte per studiarle e dargli una forma. È da lì che doveva uscire fuori un testo. Abbiamo modificato, spostato, aggiunto o lasciato cosi com’era.
E presto ci siamo accorti che a ogni lezione nella sala non c’eravamo solo noi che stavamo preparando lo spettacolo. Era sempre più evidente. A ogni lezione, settimana dopo settimana si aggiungevano tutte le persone che avevamo intervistato. Ci sedevano accanto. Ci suggerivano cosa fare.
Dopo pochi mesi, eravamo una folla.

Può darsi che Ii nostro viaggio sia stato questo: un esperimento di drammaturgia collettiva, di teatro partecipato, di storia comune. Di uno spettacolo pieno degli altri.

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Jekyll/Hyde